Il canto dei sentieri del tempo


“Il cantare ancora di una manciata di uomini dai maglioni verdi che custodiscono nel loro cuore i sentieri della vita; il cantare ancora della terra che li ha visti nascere, crescere, vivere e poi del mondo che li ha visti e li vede protagonisti lungo i sentieri del tempo, tempo che dura da oltre mezzo secolo.
Ma ora è sopraggiunta la necessità di fermare per un attimo il tempo e di imprimere le voci del Coro Valpellice in questa nuova realizzazione discografica che vede la luce nell’anno del cinquantacinquesimo di fondazione (1958 – 2013) e del trentesimo di direzione di Ugo Cismondi (1983 – 2013).
Tutto questo è rappresentato anche sulla copertina dell’opera dove si possono notare un diapason che posa l’ombra dei suoi rebbi sui numeri 55 e 30 ad indicare il tempo passato per le due ricorrenze ed un lungo sentiero, ben segnato tra il verde dei prati al di sotto delle rocce delle montagne, ad indicare il cammino del coro nel mondo e nel tempo lasciando un’indelebile traccia del suo cantare: proprio da lì nasce “Il canto dei sentieri del tempo” per raccontare le storie di sempre nel cantare di ieri e di oggi.
Ed ecco allora “I ricordi della valle” (dall’alta Val Pellice) con “Il pleut bergère” (il corteggiamento alla pastora più bella), Mamma (la perdita degli affetti ed accorgersi troppo tardi di quanto erano importanti), “Les quatres fleurs” (il cantare dei fiori che fanno gioire la vita) e “Turlu-tu-tu” (l’uomo sempre alla ricerca di nuove avventure ma non quando, ad un ballo in maschera, scopre che la prescelta è sua suocera).
Si passa poi a “Le emozioni dell’anima e del cuore” con “Campane a sera” (il ricordo della propria terra, della propria casa con l’indimenticabile suono delle campane), “Lontano” (l’andare via verso nuovi orizzonti, verso nuovi amori; il sognare ancora), “Elvira” (il sentimento non corrisposto, l’addio struggente alla donna amata), “Adios” (dall’Argentina per cantare l’addio al proprio amore con la sofferenza nel cuore), “Varda la luna” (gli amori semplici alla fontana con la luna che illumina la valle nel buio della notte) e “Geordie” (l’amore perduto per il furto di sei cervi nel “parco del re”, nell’Inghilterra medioevale).
E poi ancora “La spensieratezza” con “Teresin-a va a la melia” (dalle vallate saluzzesi del Piemonte per cantare di ciò che si deve essere e di ciò che si vuole essere), “O Carlota” (i pretesti per un incontro), “Vola, vola, vola” (la speranza di rivivere l’amore di un tempo finito troppo presto) e “Matèz” (le maschere antiche del Friuli Venezia Giulia per cantare il carnevale della vita).
Seguono “I disagi del vivere” con “Bocca di rosa” (Maritza, la ragazza che ha sconvolto la gente di un paesino ligure per sapere amare incondizionatamente sopra ogni cosa, senza pregiudizi) e ”Nanneddu meu” (dalla Sardegna per cantare di carestie, miserie, soprusi e proteste nel periodo di cambiamenti sociali, economici e politici di fine ‘800); “Il lavoro” con “O cara mama” (alle donne, alle mondine tenaci, al lavoro degli umili); “La guerra” con “Nella Somalia bella” (la tristezza di una madre vedendo il proprio figlio partire per la Somalia, dove si combatte ancora!), “Gli Alpini” (il cantare di una festa ma anche il cantare di uomini che si sono spinti oltre per conoscere la verità ed in pochi sono tornati alle loro case, regalando la libertà alle genti) ed infine “La fede” con il “Salmo 136” (il pianto degli schiavi in Babilonia), “Kumbaya” (l’invocazione a Dio dei neri, schiavi d’America, nella certezza di mai essere abbandonati: la forza del canto e della fede) e “Alleluia” (la nascita del Salvatore, dalla Chiesa di Gesù Cristo e dei Santi dell’ultimo giorno).”